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- 26.04.2012
Con queste tasse per la crescita ci vuole un miracolo
Considerando l’evasione fiscale, la tassazione italiana raggiungerà a breve quota 53,7%. È il maggiore livello
al mondo dopo quello le isole Kiribati, ed è del 9,9% superiore a Cuba. Non sorprende allora che i consumi
italiani per il 2012 siano previsti in picchiata del 2,7%: diminuisce il reddito disponibile, e per questo si compra
di meno – e siamo ancora nel felice periodo pre-Imu. Eppure, le cose potrebbero ancora peggiorare: se a
fronte di questa tassazione s’iniziasse anche a tagliare a man bassa la spesa pubblica, dal crollo dei consumi
si passerebbe a una voragine.
È con questo sospetto, misto a terrore, che interpretiamo i roboanti annunci
del governo sui “tagli allaspesa”. Non si riesce davvero a comprendere in base a quale arma segreta l’Italia «tornerà a crescere» –
secondo le parole del premier Mario Monti – in queste condizioni fiscali.
Non siamo Keynesiani: non crediamo che in questo periodo di crisi basti “spendere”
per far uscire ilpaese dalla stagnazione. Prima di tutto, avremmo preferito che le tasse non fossero aumentate, che le
riforme necessarie fossero portate avanti (banche, assicurazioni, lavoro – basta, mi annoio a ripeterle), e che
poi si procedesse al taglio della spesa pubblica. Con le tasse più basse l’attività economica aumenta, così
come il reddito disponibile dei cittadini – supplendo a quello perso nei tagli del pubblico.
Nella situazione attuale, le manovre di Berlusmonti (tardo Berlusconismo + iato montiano)
hannoavuto quale priorità la salvaguardia del flusso di denaro destinato allo stato. È chiaro che la situazione sociale
è al limite – l’ottobre romano insegna – ma pare quanto mai eccessivo guardare all’Avana come modello di
libertà economica. La manovra da 48 miliardi di euro del 2012 è stata coperta al 79,5% da tasse, e con
proporzioni simili (e terrificanti) si arriverà a 81 miliardi, coperti per il 62,7% da tasse. Che senso ha
abbassare la spesa ora, se non quello di assestare il colpo finale all’economia? Del resto, lo Stato si è messo
nelle condizioni di aumentare la raccolta fiscale anche in un periodo di grave recessione come quello attuale.
Il Pil italiano nel primo trimestre dell’anno è calato dell’1,6%, mentre le entrate fiscali sono aumentate a
gennaio dell’1% e a febbraio del 2,7%.
O, forse, un senso lo ha. Se le tasse sono al 53,7%,
più che di “prelievo fiscale”, si dovrebbe parlare delrestante 46,3% “concesso per uso personale”, come nell’Unione Sovietica dei tempi d’oro. Inizia a circolare il
sospetto, vago quanto netto, che si voglia impiegare lo stato come “volano per far ripartire l’economia”.
Più che di taglio della spesa, inizia a diffondersi il sentore che si voglia impiegare la massa di soldi
sottratti al cittadino per finanziare il complesso pubblico a uso dei partiti, per controllare la spesa e i consumi.
Si parla di tagliare le spese ai “ministeri” e gli “enti inutili”, mentre rimarrebbe la galassia in salsa cinese di
5.000 imprese a partecipazione pubblica, che impiegano 1.170.000 persone, oltre a 3,7 milioni di dipendenti
pubblici.
La nomina di Monti al posto dell’arbitro di Burlesque di Arcore è stata sacrosanta.
Le condizioni delbilancio pubblico erano e rimangono devastanti. Le piazze stanno per esplodere: dal dolore privato dei
suicidi, alcuni temono che possa nascere anche la violenza di gruppi armati. Per questo abbiamo accettato il
percorso (non) elettorale del professor Monti, con la speranza di avere una rivoluzione riformatrice. Ci
accorgiamo oggi che di rivoluzione si tratta, ma conservatrice: quella che nel Giappone del diciannovesimo
secolo prese il nome di “Rinnovamento Meiji”, comandata dall’alto e dalla regola dell’imperatore. Solo che le
rivoluzioni “dall’alto” sono proprie dei paesi pre-industriali. È qualcosa, forse, di cui l’Italia non avrebbe gran
bisogno in questo momento.
Quello italiano, perciò, non può essere definito
come “rinnovamento basato sulle tasse” da far felice laBanda dei Quattro, ma solo un arroccamento delle élite che controllano il potere.
Del resto, l’argine delle tasse ormai si è rotto. L’Imu-bis segnala come ormai non ci sia alcun ritegno
nell’esigere nuove gabelle. La flessibilizzazione del lavoro – ancora tutta da dimostrare – è avvenuta al costo
di maggiori oneri per gli imprenditori. Le tasse rappresentano oltre il 60% del costo della benzina: se negli
Stati Uniti un litro di benzina costa 0,74 euro, non 1,9/2 come da noi. Il governo italiano pretende il
pagamento di una tassa molto alta su immobili posseduti all’estero, per i quali non sgancia un centesimo in
servizi: il mero “possesso” è tassato. Uno Stato senza opposizione, in questa struttura da dominantedominato,
continuerà ad andare avanti. In pochi altri paesi al mondo un livello di tassazione simile sarebbe
accettato, a fronte del modo in cui il denaro pubblico viene gestito. Non è populismo, ma un’osservazione
fattuale delle classifiche internazionali sul livello dei servizi pubblici in Italia.
È assurdo constatare come l’Italia disponga ancora di tutte le risorse e tutte le potenzialità
per potersiesprimere economicamente con successo, ma non ci riesca a causa di problemi burocratici e fiscali. Alla fine,
tra tasse alte e spesa bassa, si corre il rischio di far male all’economia, fino a mettere a rischio anche il rientro
dal debito. Ci chiediamo, alla fine, se il premier stesso ci creda. In visita al Salone del Mobile di Milano ha
dichiarato che «Segnali di crescita non se ne possono avere tanti nell'immediato ma ci sono lo stesso segnali
di speranza e ottimismo». Con il dovuto rispetto, ricorda un Papa che parla dei sacrifici terreni e della
speranza nel paradiso. Dalla politica economica siamo passati al catechismo fiscale.
Pubblicato su
Linkiesta.it (http://www.linkiesta.it) - Giovedì, 26 aprile 2012 - 10:15URL:
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